Un papiro è per sempre, un archivio digitale (forse) no. Cosa possiamo imparare dal settore accademico?
Il nostro patrimonio accademico e librario è a rischio. Solo nel 2017, il servizio di archiviazione Lockss ha registrato la perdita di oltre 50mila paper. Per rendere meglio l’idea è come se un’intera biblioteca fosse stata distrutta da un incendio. Un danno irreversibile.
L’allarme è reale. Come spiega bene Gianluca Dotti sul Sole24Ore, nel suo racconto su come – paradossalmente – i supporti digitali rispetto a quelli “antichi” siano talvolta meno sicuri. Questo perché, come conferma l’International Association of Scientific, Technical and Medical Publishers, “solo il 44% delle pubblicazioni accademiche digitali è archiviato in modo sicuro”.
La vulnerabilità degli archivi è un problema molto serio e in parte sottovalutato. Le conseguenze, però, sono più che tangibili: potremmo perdere un patrimonio frutto di decenni di conoscenza, ricerca, studio.
“I dati – si legge nell’articolo – mostrano che il 13% degli articoli pubblicati su riviste scientifiche chiuse tra il 2000 e il 2015 non è più reperibile. E il rischio è amplificato dall’obsolescenza tecnologica: formati digitali diventano rapidamente incompatibili con i nuovi sistemi, rendendo impossibile l’accesso ai contenuti”.
Al contrario dei file digitali, invece, i documenti stampati resistono per secoli. Quelli digitali, in particolare, come spiega Marco Leona, responsabile della ricerca scientifica al Metropolitan Museum of Art (Met) di New York, necessitano di un costante trasferimento e aggiornamento. Insomma un papiro è per sempre una chiavetta USB forse no.
Il tema dell’obsolescenza dei supporti archivistici va affrontato con grande impegno e serietà in ogni ambito. Perché “rischiamo di arrivare all’assurdo: se da un lato possiamo leggere manoscritti medievali, dall’altro rischiamo di perdere per sempre informazioni contenute in floppy disk degli anni Novanta”.
“La digitalizzazione – aggiunge Dotti – ha comunque offerto enormi vantaggi, velocizzando la diffusione delle pubblicazioni scientifiche: oggi il 90% delle riviste è solo digitale, consentendo ai ricercatori di accedere a migliaia di articoli in pochi secondi. Tuttavia, questa transizione ha reso la conservazione un problema sempre più urgente da affrontare. In assenza di misure adeguate, gli archivi digitali potrebbero diventare una fragile illusione, un castello di sabbia destinato a sgretolarsi nel tempo, o al primo hackeraggio”.
Il problema non riguarda solo le università o le biblioteche ma anche aziende, tribunali, archivi di stato, enti pubblici, studi notarili, studi legali e così via. Molte istituzioni accademiche stanno cercando di risolvere la questione attraverso collaborazioni internazionali “per creare archivi digitali ridondanti, in modo da evitare che la perdita di una piattaforma comprometta l’accesso globale alla conoscenza”.
Ma «se le pubblicazioni digitali non vengono preservate adeguatamente, rischiamo di perdere collegamenti cruciali nella documentazione accademica, compromettendo la capacità di verificare e costruire sulla ricerca esistente: un disastro per la comunità scientifica globale. Il panorama è reso ancora più critico dall’aumento della frequenza di violazioni informatiche nel mondo accademico».
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